Le strade non comuni dei Traindeville

I Traindeville con il cd “Caffè Fortuna”, pubblicato attraverso una campagna di crowdfunding su Musicraiser, continuano il loro viaggio musicale, iniziato qualche anno fa con “Shadows and lights”. Così essi stessi introducono questa ultima fatica musicale: “Caffè fortuna, il brano che dà il titolo all’album, è stato composto dopo un mini-tour in Lussemburgo. La visita alle miniere di Esch-Sur-Alzette, in cui lavoravano tanti italiani, ci ha dato l’ispirazione per una canzone che parla di migrazione, di speranza e di lavoro. Lungo la strada verso la miniera, l’insegna di un bar che portava questo nome ha incantato la nostra fantasia. Camminando e cercando di immaginare quel tempo lontano, è affiorata una melodia di fisarmonica, la visione di un valzer tra passato e presente, il dialogo sognato tra un figlio e un padre”.

In questo nuovo album, Paolo Camerini al contrabbasso e Ludovica Valori, fisarmonica, voce e trombone, due artisti colti e viaggiatori instancabili, si mettono ancora in viaggio, alla ricerca di sonorità e parole che possano essere significative per chi ha il desiderio di non sapere abbastanza, di trovare ancora del “non detto” e del “non a posto”…

Per comprendere l’intensità di questo lavoro musicale occorre analizzare la prima traccia, che è come la stella polare per chi si trova a navigare in mezzo al mare; ne “La mia strada”, Ludovica canta: La mia strada è un deserto salato / spazzato dal vento, il cielo velato; questa strofa evidenzia la qualità della strada, vista come un deserto salato, due termini che esprimono l’assenza della vita, in cui non esiste acqua. Chi si mette in cammino è consapevole che potrà trovarsi in situazioni scomode, con il rischio di perdere l’orientamento e sperimentare la mancanza di ciò che pensava essere vitale. Ed è questo il cammino “Ma si va, si continua ad andare / Finchè c’è rabbia da respirare”. La rabbia è l’elemento che spinge il cammino, che non è solamente fisico, ma è soprattutto esistenziale, di fronte alla fatica del vivere, dell’ingiustizia, dell’esclusione sociale. L’arte è politica, nel senso che si occupa della città, del luogo in cui si vive e si abita, che in questo caso si amplia al mondo intero: ricordiamo, infatti, gli impegni sociali di Ludovica e di Paolo, a favore delle minoranze come quelle rom, la partecipazione di Paolo al progetto “Musicians for Human Rights”, solo per citare alcuni esempi. Forse è proprio questa passione per l’umano che spinge il duo Traindeville alla ricerca, all’incontro con altre culture, sapendo che: La verità non conosce sentieri […] Non c’è bagaglio che serva davvero / Non c’è ricchezza che serva davvero / Non c’è mappa che serva davvero / Non c’è maestro che serva davvero. Le strade, infatti, sono potenzialmente infinite, e non tutte ben tracciate e ciascuno deve trovare (e tracciare) la propria, in una solitudine che non è isolamento, ma un apprendere a conoscere se stessi: Facilmente prende il volo / Chi ha imparato a stare solo. È un apprendistato faticoso, perché le strade che si percorrono sono sassose, impervie, oscure, come viene cantato anche nella intima e appassionata canzone “Nella Notte”: Nella notte scorre il fiume, sull’asfalto corro in fretta / Quel che è perso non ritorna e nel cuore già lo sai / Stanotte la vita mi ha messo alle corde / La ragione colpisce più forte / Stanotte il buio non dà nascondigli / E sono esauriti i consigli. Il suono del trombone, conferisce questa indecifrabilità della vita, conduce ad un’atmosfera evocativa, in cui farsi trasportare, condurre o anche perdersi.

La strada è anche il luogo dell’incontro, della messa alla prova dei propri pregiudizi, come viene cantato in “Taranta Migrante”: Ci rubano il lavoro, ci deturpano il decoro / Chiudiamo le frontiere, sventoliamo le nostre bandiere / Ci appartiene pure il mare, non lo devono attraversare, parole riferite all’attuale situazione dei migranti che arrivano fuggendo le situazioni di ingiustizia e povertà dei propri paesi. Un pensiero che deriva anche dall’attenta riflessione sulla storia italiana, sulle difficoltà di vita, cantate in un nostalgico valzer, nella canzone “Caffè Fortuna”. Una canzone tanto dura nelle strofe, quanto poeticamente appassionata nel ritornello: Mio padre scendeva nella miniera / Uguali nel buoi il giorno e la sera / Nere le facce, candele tremanti / Lavoratori stranieri emigranti / Terra rossastra, binari nel verde / In galleria quanta vita si perde. A queste parole, che pesano sulla vita e sulla storia dei nostri avi, risponde un ritornello che dà un po’ di respiro, una piccola scintilla di felicità (che si tinge del sapore delle lacrime della fatica), attraverso il ricordo: E al caffè fortuna a bere un bicchiere / Provava a scordare stanchezza e dolore / Al caffè Fortuna, finito il bicchiere / Scendevano a volte due lacrime nere.

Ancora una volta i Traindeville compongono una musica che porta con sé le tante esperienze di viaggiatori, la polvere delle miniere, il salmastro che rilasciano le onde del mare che si infrangono sulle rive, i dubbi e le incertezze che nascono dall’incontro tra le differenti culture… sapendo, in fin dei conti, che ciò che importa è “la mia strada”, unica e particolare per ciascuno, ma che si incrocerà con altre strade che porteranno ancor più lontano.

Numerosi anche gli ospiti presenti in questo lavoro: dal bouzouki di Stefano Saletti (Novalia, Banda Ikona, Caracas) alla voce della polistrumentista e compositrice indipendente di Seattle Amy Denio (Kultur Shock, OU!), oltre a Edoardo Inglese, storica voce della Original Slammer Band e a musicisti noti della scena capitolina come Adriano Dragotta (violino), Franco Pietropaoli (chitarre, mandola), Dario Esposito(batteria), Antonio Merola (tamburello), il tutto mixato e masterizzato da Eugenio Vatta nel suo nuovo studio romano.


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